mercoledì 27 marzo 2024





Un saluto ai tantissimi lettori e amici del Blog. Oggi voglio proporvi, un post decisamente interessante sulla “Trance agonistica” o meglio stato di Flow, teoria elaborata dallo psicologo Mihaly Csikszentmihaly. Penso che per noi tecnici sia importante conoscere aspetti che influenzano la performance  non solo sotto il profilo tecnico e metodologico ma anche Psicologico e motivazionale. Spero che il materiale possa essere di vostro interesse. Al prossimo post.

Stefano Lorusso.


Il lavoro sullo Stato di Flow di Csikszentmihalyi

Negli anni ’70, partendo da un lavoro di ricerca e sviluppo sulla creatività, Csikszentmihalyi avviò uno studio sul “flusso di coscienza”, ossia un fenomeno riscontrabile, in psicologia, quando sussistono specifiche condizioni di operatività. Nello specifico, essendo uno psicologo “comportamentista”, Csikszentmihalyi approfondì i fondamenti del meccanismo che aveva osservato nel comportamento adottato dagli artisti quando davano vita alla loro opera e ritenevano di essere “sulla strada giusta”. La condotta era caratterizzata da massima concentrazione, attenzione elevata, assenza di stanchezza e alterazione totale del senso del tempo che scorreva.
Dal tema della creatività, dunque, Csikszentmihalyi si spostò agevolmente verso l’argomento della “motivazione intrinseca”, scorgendo nel comportamento sopra descritto una notevole espressione di motivazione interiore del massimo grado, tale da generare di per sé gratificazione e da sostenere l’individuo nel perseguimento dell’obiettivo (anche se negli studi in questione l’accento era posto sul fare, sull’attività in sé e sul piacere di svolgerla, non sullo scopo cui essa tende). A Csikszentmihalyi si deve, pertanto, l’elaborazione della teoria del Flow, inteso come lo stato di flusso, esperienza autotelica e di per sé totalmente gratificante nella quale l’individuo si immerge allorquando fa qualcosa che gli piace e gli procura godimento.
Si tratta di uno stato psicologico soggettivo dalla connotazione assolutamente positiva, che corrisponde alla completa immersione nel compito e scaturisce dalla relazione sussistente tra le abilità soggettive della persona e il carico di lavoro. Quando tali fattori sono bilanciati e in armonia, emerge lo stato di flow. Diversamente, quando vi è un disequilibrio a favore delle abilità, subentra la noia, mentre in caso di sbilanciamento a favore del carico, viene prodotto stress (negativo).
L’esperienza ottimale determina un flusso dinamico di energia mentale, che attiva le potenzialità individuali, contribuendo a delinare la migliore condizione per la generazione e il mantenimento della motivazione.
Il file completo con le slide le potete trovare cliccando sul link sottostante. 



lunedì 25 marzo 2024

 RUOLO DELL’ALLENAMENTO AEROBICO NELLA CAPACITÀ DI RECUPERO E DI PERFORMANCE 





La durata di una partita di pallavolo è variabile e può durare dai h 1,30' a 2,30’ (Douda et al., 2005). È uno sport aerobico con contributo anaerobico alattacido (Kasabalis et al., 2005): le azioni vengono eseguite grazie a PCr e ATP mentre i recuperi attivi e le transizioni vengono eseguite grazie alla glicolisi ossidativa. Altre richieste di questo sport sono agilità, rapidità, potenza, flessibilità, forza massimale e massimale eccentrica. Nella preparazione della serie A è usanza comune aggiungere stimoli aerobici 0 in soglia anaerobica in pre-season, questa “consuetudine” viene meno in serie A2 in quanto viene vista come attività non correlata con la pallavolo. Questa consuetudine, purtroppo, non tiene conto delle richieste metaboliche della categoria in questione. Questa mancanza potrebbe essere causata dal fatto che non è disponibile in letteratura un modello prestativo né tantomeno un modello fisiologico di questa divisione. Confrontando le partite di serie A con quelle di serie B (osservazione personale) però si nota immediatamente come, a causa probabilmente di una minor efficacia tecnica e una velocità inferiore di gioco, le partite in serie A2 durino molto di più e come la palla stia in gioco per molto più tempo. Come precedentemente preannunciato,non ci sono dati disponibili in letteratura a Supporto di questa stima; ciononostante, sulla base di questa considerazione, il contributo aerobico e l'attività ad un'intensità prossima alla soglia anaerobica dovrebbero aumentare in A2 e, con essi, anche i livelli medi di VO2max, La massima potenza aerobica è equivalente alla massima quantità di ossigeno che può essere utilizzata nell'unità di tempo da un individuo, nel corso di un'attività fisica coinvolgente grandi gruppi muscolari, di intensità progressivamente crescente e protratta fino all'esaurimento. Il post completo lo potete visionare cliccando sul link https://acrobat.adobe.com/link/review?uri=urn:aaid:scds:US:66d79847-1bef-4553-b7bb-b2cf6fd8c9d8

martedì 19 marzo 2024


TEORIA TECNICA E DIDATTICA DELL’EDUCAZIONE MOTORIA 
IN ETÀ EVOLUTIVA
 PERCORSI DIDATTICI


VIDEO


INTRODUZIONE 


Secondo noi dovrebbe essere un aiuto per tutti coloro che vengono chiamati ad insegnare scienze motorie. La nostra idea è di fornire un minimo di riferimenti teorici (perché il movimento ha sempre basi scientifiche) e una scaletta di interventi, giochi, esercizi, feedback, riflessioni, valutazioni, proposte, ecc.. mirate alla costruzione di un breve programma didattico per le principali fasce d’età e per le varie tipologie di settore (scuole, centri di avviamento allo sport, centri estivi, società, ecc…) in cui ci si può trovare a lavorare. Ovviamente quanto scritto non può essere altro che uno stimolo, una proposta, senza alcuna pretesa di unicità e assoluta veridicità. E’ il frutto della nostra esperienza pregressa, quindi ci potrebbero essere altre 1000 proposte migliori che starà a voi sperimentare; è uno dei tanti modi di lavorare tenendo sempre ben presenti i principi guida del nostro lavoro: le finalità, gli obiettivi, i contenuti, i metodi.
Accanto a questa guida teorico/pratica si farà spesso riferimento ad un’ulteriore dispensa prettamente teorica (reperibile nel sito di UNIFE) scritta dalla Prof. Marani Lorena per affrontare al meglio questo esame di T.T.D dell’Educazione motoria .

Che cosa sono le Scienze Motorie Sportive?

È una disciplina educativa finalizzata allo sviluppo, alla crescita e al mantenimento delle funzioni motorie coordinate con le capacità cognitive ed affettivo-relazionali.
In modo molto pragmatico possiamo dire che le finalità  rappresentano le mete dell’intervento educativo che vengono raggiunte attraverso lo sviluppo di tutti gli obiettivi generali.
In sintesi le Finalità di questa disciplina sono sostanzialmente tre:
educative, formative e preventive realizzabili attraverso la specificità della disciplina (Attività Motoria, Educazione Fisica o Sportiva). Una certa differenza invece esiste con l’allenamento ad una pratica sportiva agonistica, che qui non tratteremo, che consiste in un programma teso ad incrementare la funzionalità organica, ad accelerare il massimo sviluppo delle capacità motorie essenziali per il raggiungimento della massima prestazione sportiva. Inoltre un programma d’allenamento deve prevedere tempi piuttosto dilatati per l’insegnamento della tecnica e della tattica di quello specifico sport, nonché le simulazioni di gara. Per questo settore rimandiamo pertanto ad un’ampia ed esaustiva bibliografia già esistente in commercio.

LE FINALITÀ:

EDUCARE significa portar fuori ciò che sta dentro, rendere palese una predisposizione, far scaturire le potenzialità esistenti nella persona da educare (dal latino educere =trarre fuori). E’ il processo che tende allo sviluppo delle facoltà mentali, fisiche e relazionali dell’individuo. Avviene attraverso l’istruzione (trasmissione di concetti e informazioni) e l’insegnamento (relazione empatica che favorisce l’apprendimento).
Avviene in differenti contesti (famiglia, scuola, amici, società sportiva, oratorio, circoli culturali, ecc.)  tramite diversi attori (genitori, insegnanti, istruttori, gruppo dei pari, mass-media) e attraverso la didattica (o pratica dell’educare) che si fonda sulla conoscenza di metodi e contenuti.

FORMARE significa favorire la conoscenza e la coscienza di sé per realizzare un percorso di autonomia che consenta, prima, di riconoscere le proprie attitudini e aspirazioni, poi di saperle sviluppare, consolidare e controllare nell’arco di tutta la nostra vita (formazione permanente).

PREVENIRE significa conoscere il rapporto tra attività motoria e miglioramento o mantenimento della salute dinamica. Consiste :
· nel miglioramento della funzionalità di organi ed apparati, con particolare attenzione allo sviluppo plastico dell’apparato neuro-muscolare per migliorare l’adattamento alle situazioni della vita quotidiana;
·  nello sviluppo dei fattori di buona salute (capacità condizionali);
·  nel mantenimento dell’equilibrio tra energia introdotta e spesa (rapporto tra massa magra e tessuto adiposo) al fine di ridurre i rischi di patologie.
Tutto ciò al fine di mantenere un equilibrio fisico, mentale e sociale che consenta di vivere bene attraverso la realizzazione quotidiana delle proprie risorse e aspirazioni.

COME PROGRAMMARE IL NOSTRO LAVORO
Quando si deve realizzare un apprendimento–insegnamento è necessaria “un’ulteriore competenza che consente all’insegnante di pianificare gli apprendimenti degli allievi individuando gli obiettivi, i contenuti, i mezzi, gli ambienti e i sistemi di verifica a breve, medio e lungo termine” (Casolo F.  “Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano” Milano, Vita e Pensiero, 2002) per poi valutarne i risultati.
Vediamo sinteticamente quali sono le variabili da considerare:

L’ETA’ è molto ovvio capire che le finalità, gli obiettivi, i contenuti, la metodologia, siano molto diversi tra loro se devo insegnare a bambini, ragazzi, adolescenti, adulti, anziani.
E’ pur vero che potrei trovarmi ad insegnare ad un gruppo di adulti che vogliono fare una ginnastica di potenziamento aerobico con gli attrezzi oppure ad un gruppo di adulti che vogliono fare attività aerobica con la musica.  In questo caso, pur essendo analoga l’età, cambiano completamente i contenuti ed i mezzi.

IL GRUPPO/ CONTESTO: si potrebbe trattare di una scuola (primaria o secondaria) o di un gruppo di bambini di età non omogenea che frequenta un corso organizzato da una società di promozione sportiva, oppure un gruppo di bambini di una società di calcio, o bambini di un centro ricreativo estivo, ecc…
Anche se la fascia d’età è la medesima, il lavoro da programmare può essere completamente differente a seconda degli obiettivi che si devono raggiungere in quel contesto. Prendiamo ad esempio la fascia 6-8 anni. Se siamo in una scuola elementare si dovranno conoscere e perseguire gli obiettivi del programma di educazione fisica per la classe prima e seconda.
Se siamo in una Polisportiva in cui esistono squadre di calcio, volley e basket, cercheremo di sviluppare un’attività motoria che tenda anche ad individuare eventuali predisposizioni nei nostri piccoli allievi verso questi particolari sport.
Se stiamo lavorando in una società di calcio che organizza tornei anche per i giovanissimi, la nostra attività dovrà prevedere anche una preparazione tecnico/tattica che possa consentire ai bambini di svolgere una partita di calcio piuttosto che di basket o altro.
Quindi l’obiettivo di quel particolare contesto sportivo vincola già la mia programmazione.

IL TEMPO del mio lavoro, quanto dura?
Potrei essere stato assunto solo per i 2 mesi estivi o per tutto l’anno scolastico, o per sostituire un collega in malattia per qualche mese, o avere un incarico più prolungato. Questa attività potrebbe svolgersi su due ore settimanali (in linea di massima è così) o per tempi più dilatati. Gli obiettivi che mi porrò saranno proporzionali al tempo che avrò a disposizione. Infatti si parla di programmazione a lungo, medio e breve termine.
Inoltre c’è da considerare che dipende anche in quale parte dell’anno ci troviamo, nel caso mi trovi a sostituire un collega dovrò conoscere gli obiettivi già conseguiti precedentemente dal gruppo, prima di poter programmare una sequenza adeguata di contenuti.

I PREREQUISITI: ogni attività motoria deve essere adeguata, oserei dire fatta su misura, per quello specifico gruppo. Quindi non si può fare una buona programmazione senza conoscere il livello di capacità raggiunto dalle persone con cui lavorerò. Pertanto nelle primissime lezioni dovrò prevedere una serie di giochi, staffette, percorsi, esercizi, che mi diano la possibilità di “testare” il livello di sviluppo e padronanza delle principali capacità motorie condizionali e coordinative, nonché il livello di socializzazione che eventualmente esiste tra quelle persone, che potrebbe essere una grossa risorsa da cui partire.

L’AMBIENTE E LE ATTREZZATURE: non sempre ci troviamo a lavorare in un ambiente idoneo all’attività che dobbiamo svolgere. Spesso dobbiamo adattarci alle palestre esistenti che, in alcuni casi, per gli scarsi investimenti economici, sono piuttosto carenti di manutenzione o di attrezzature. Prioritaria è l’attenzione alla sicurezza che significa prima di tutto, osservare attentamente l’ambiente, prevedere ed eliminare (se fattibile) tutte le fonti di possibili incidenti: gli attrezzi contro cui si può sbattere o cadere andrebbero tolti o spostati; gli spigoli o i pali vanno protetti con materiale apposito, eventuali gradini o avvallamenti del terreno vanno accuratamente evidenziati, va costantemente controllata l’integrità delle attrezzature utilizzate, ecc.. Questo perché il D.L. 81/2008 Art.19 ci uniforma ai “preposti” cioè a persone che “in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintendono all’attività…. e ne garantiscono l’attuazione in sicurezza, secondo le direttive ricevute”. In pratica l’insegnante è responsabile di tutto quello che potrebbe succedere ai propri allievi a meno che non riesca a dimostrare che il fatto dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità gli abbia impedito un tempestivo efficace intervento teso ad evitare l’incidente.
Quindi, superata la fase della sicurezza dell’ambiente, dobbiamo valutare quali attrezzature sono a nostra disposizione prima di programmare la nostra attività.

COME SI COSTRUISCE UNA LEZIONE:
non esiste una tipologia unica di lezione; ci sono un’infinità di cose che si possono proporre in ciascuna lezione, ma dato che vogliamo dare alcune indicazioni a coloro che sono all’inizio della loro esperienza, il consiglio è di partire da questo modello-tipo per poi sperimentare di volta in volta l’introduzione di contenuti personali e  metodologie differenti.
Il primo concetto basilare è la varietà delle proposte operative che tuttavia devono sempre rispettare gli obiettivi prefissati e la finalità dell’insegnamento.
In modo molto schematico possiamo ricordare che ogni lezione dovrebbe contenere almeno 5 momenti:
1.   l’orientamento o l’accoglienza
2.   l’attivazione motoria o riscaldamento o condizionamento
3.   la parte centrale con lo sviluppo di uno o più obiettivi specifici
4.   la parte ludica (che può essere contemporanea alla valutazione)
5.   il defaticamento (ritorno alla condizione di normalità del ritmo cardio-respiratorio) con la sintesi finale

L’orientamento o l’accoglienza:  solitamente il gruppo appena arriva in palestra viene disposto in cerchio, seduti, compreso il docente. Ha lo scopo di comunicare l’obiettivo del giorno, richiamare quanto fatto precedentemente e quali sono le capacità/abilità già apprese che saranno prerequisiti importanti per il nuovo apprendimento; infine accogliere tutte le istanze dei vari componenti (chi non sta bene e giustifica, chi ha voglia solo di giocare, ecc.) cercando di responsabilizzarli e motivarli al lavoro.

L’attivazione motoria o riscaldamento:  si inizia a lavorare con un ritmo gradualmente crescente per innalzare la frequenza cardio-respiratoria e velocizzare le reazioni biochimiche (vedi capitolo Riscaldamento nella dispensa Marani). Le esercitazioni possono essere le più svariate: corse, giochi, staffette, a corpo libero o con piccoli attrezzi o palloni, ecc..

La parte centrale con lo sviluppo di uno o più obiettivi specifici: rappresenta il cammino operativo dell’apprendimento di nuovi contenuti, l’acquisizione di nuovi schemi motori, nuove abilità, o l’applicazione di precedenti apprendimenti in nuovi contesti (trasferibilità).

La parte ludica: può essere la trasferibilità degli apprendimenti appena acquisiti in modo analitico, nel gioco globale o in una partita.  Per esempio: imparare il tiro a canestro poi utilizzarlo in un gioco (gara di tiri a canestro) o in una partita 3 contro 3 o 5 contro 5
In questa fase si ottiene anche un feedback, necessario sia all’insegnante che all’allievo, sul livello di apprendimento raggiunto dal gruppo. Questo consente al docente di fare le opportune correzioni al suo programma o al suo metodo e consente all’allievo di “sentire” se ha raggiunto una sufficiente padronanza del gesto o se necessita di ulteriori esercitazioni. In accordo con gli studenti, a livello scolastico, questo momento può anche essere utilizzato per una verifica formativa o sommativa; mentre un gruppo gioca, alcuni allievi vengono valutati dal docente poi si cambia, in modo che nessuno stia fermo ad aspettare il proprio turno per essere valutato.

Il defaticamento: solitamente negli ultimi 5/10 minuti di lezione bisogna proporre un’attività un po’ blanda, in modo che il ritmo cardio-respiratorio si abbassi e ritorni alla condizione di normalità, per non mandare i ragazzi nello spogliatoio tutti affannati e accaldati.
Spesso è difficile farli smettere di giocare per fare un’attività blanda (che a loro appare noiosa) quindi si utilizzano gli ultimi 5 minuti per rimetterli seduti in cerchio e chiedere loro di fare una sintesi del lavoro appena svolto cercando di portarli a verbalizzare quello che hanno appena sentito, provato, imparato, le difficoltà non superate, le proposte per la volta successiva, ecc.
Questo momento che sembra banale in realtà è particolarmente importante, perché sottolinea l’attenzione del docente alla parte affettiva/emotiva/relazionale/sociale, al vissuto dei ragazzi, agli eventuali litigi avvenuti, e ribadisce la necessità di porre attenzione a quello che si fa e a come lo si fa, senza dimenticare che lavorando in gruppo è fondamentale il rispetto reciproco ed il  fair-play.

PERCORSI DIDATTICI


Ora vorremmo illustrarvi alcuni nostri percorsi didattici che crediamo possano essere d’esempio e di stimolo per arricchire l’attività di chiunque si appresti a lavorare nel campo delle Scienze motorie. Vi illustreremo 7 percorsi didattici dandovi, per ciascuno di essi, anche alcune indicazioni teoriche che spiegano come la pratica sia sempre collegata ad una base scientifica, ad una motivazione che va ben oltre il semplice “fare ginnastica”.

1. La socializzazione
2. Il riscaldamento
3. Il gioco
4. Il ritmo e la percezione
5. Il ritmo e la coordinazione
6. Gli sport di quadra e individuali
7. L’attività motoria nella prima infanzia

PERCORSO DIDATTICO N.1:  LA SOCIALIZZAZIONE

 





RIFERIMENTI TEORICI:
Quando un gruppo si trova per la prima volta insieme con un nuovo insegnante, la cosa più importante a cui fare attenzione sono i sentimenti e le emozioni delle persone e le dinamiche relazionali. Quasi tutti nei primi momenti si chiedono chi siano i loro compagni, se saranno all’altezza delle richieste dell’istruttore; se le persone hanno delle insicurezze saranno nervose, tese, preoccupate del giudizio degli altri. Ecco perchè il compito prioritario dell'insegnante durante le prime lezioni è quello di creare un clima sereno, di rispetto reciproco, scevro da giudizi e preconcetti, fatto di conoscenza e accettazione nonchè di collaborazione ed empatia. A volte dentro il gruppo capita che ci si senta un numero, o comunque qualcuno che conta poco. Al contrario può capitare che ci sia qualcuno che tenta di accentrare su di sè tutte le attenzioni. Entrambe le situazioni complicano il percorso di apprendimento che risulta difficoltoso per gli individui che sono preoccupati e distratti da emozioni negative.
Sentire di appartenere ad un gruppo da cosa dipende?
Molti sono gli aspetti dell’inclusione: conoscere le persone del gruppo, condividere gli stessi obiettivi (siamo tutti qui per mantenerci in forma), essere tutti lì con lo stesso scopo (vogliamo imparare a giocare a pallavolo), sentirsi simili.
Quindi la prima cosa che un docente deve fare è favorire la socializzazione e lo star bene insieme, anche attraverso esercizi di contatto (per esempio i giochi di trasporto) che favoriscano la conoscenza e la fiducia reciproca.

Il riscaldamento, detto anche attivazione motoria o condizionamento, deve essere fatto prevalentemente per evitare infortuni, ma gli effetti che produce migliorano in modo significativo le risposte motorie. (Vedi dispensa Marani). Può essere fatto in tantissimi modi e sarà notevolmente differente a seconda delle fasce d’età verso cui è rivolto.
Per esempio, con i bambini si utilizzeranno prevalentemente giochi, prima più blandi poi più dinamici e che prevedano anche movimenti di mobilizzazione articolare.
Con i ragazzi e gli adolescenti si può utilizzare la corsa aerobica e le andature pre-atletiche. Con i giovani e gli adulti si può lavorare anche sulla consapevolezza dei tempi, dei ritmi e delle necessità individuali relative al proprio riscaldamento e contestualmente alla mobilità articolare si possono affiancare esercizi di stretching.
Ovviamente l’insegnante sa che ogni tipo di attività che successivamente intende proporre richiede l’attivazione dell’apparato cardio-respiratorio e degli apparati muscolare e articolare, e questo lo può raggiungere con tantissimi esercizi, giochi o attività.
La particolarità dell’Educazione motoria è che ogni esercitazione può avere numerose finalità contemporaneamente. Nel riscaldamento si possono proporre degli esercizi che siano anche socializzanti, come per esempio: correre per tutta la palestra scambiandosi il nome e quando si trovano compagni il cui nome comincia con la stessa iniziale, si prosegue la corsa affiancati. Oppure, dalla corsa libera in tutta la palestra, al segnale convenuto formare una fila che corre sul perimentro in ordine alfabetico, ecc…
L’insegnante deve essere sempre consapevole dell’intensità e dell’impegno muscolare che richiederà al proprio gruppo nella fase centrale della sua lezione, perchè il riscaldamento deve essere proporzionale a questo per lavorare in sicurezza ed evitare spiacevoli dolori muscolari che potrebbero ridurre il piacere per l’attività motoria.
A volte, prima di iniziare il riscaldamento, potrebbe essere opportuno un momento per richiamare l’attenzione del gruppo sull’inizio dell’attività, per esplicitare gli argomenti che verranno trattati in quella seduta, per ascoltare le eventuali richieste od osservazioni. Il modo migliore è attivare un circle time cioè sedersi tutti in cerchio, (compreso l’insegnante) e parlare rispettando alcune regole che vanno illustrate la prima volta che si usa questo strumento.

IL GIOCO

Il gioco è una dimensione fondamentale nella vita di ogni bambino. Nel gioco egli si muove, scopre, inventa, si relaziona con gli oggetti, con l’ambiente, col gruppo dei pari. Il gioco favorisce lo sviluppo di tutte le 3 aree della personalità (cognitiva, affettivo-relazionale, motoria), in particolare:

Area cognitiva: il gioco stimola l’attenzione, la memoria, la percezione, la capacità di fare associazioni e confronti, stimola la fantasia e la creatività ecc..

Area affettivo/relazionale (o sociale): dopo i tre anni i bambini possono lasciare i giochi individuali ed iniziano a gradire i giochi con gli altri. Questo favorisce il superamento di stati di timidezza, di insicurezza, di isolamento e stimola il confronto, la collaborazione, l’amicizia.

Area motoria: i giochi essendo estremamente motivanti, aiutano il bambino a prolungare nel tempo carichi di lavoro progressivamente più intensi, portando prima allo sviluppo, poi al controllo degli schemi motori.
Il gioco basato sulle regole può essere iniziato intorno ai 4/5 anni ma la fase di maggiore sensibilità e disponibilità è intorno agli 8-10  quando il bambino è in grado di comprendere e accettare alcuni concetti astratti come: il condividere, fare a turno, accettare di perdere, essere leali, rispettare i tempi, comprendere la finalità del gioco. Per questo si dice che il gioco è molto educativo!  Il gioco viene ad essere una sorta di amplificatore di tutti gli elementi utili allo sviluppo del soggetto e l’assimilazione di tutti questi elementi è resa più rapida e relativamente semplice dall’aspetto ludico che il gioco per sua natura possiede.
Giocando si fa qualcosa che diverte e allo stesso tempo si apprende, senza pensare né alla fatica né al tempo che scorre, né a cosa in realtà si sta facendo.
Il divertimento è la più grande motivazione a fare qualsiasi cosa! I giochi hanno la capacità di stimolare le abilità sotto l’aspetto coordinativo, condizionale ed organico.
I giochi non codificati (palla rilanciata, palla avvelenata, ecc..) sono meno ancorati alle regole rispetto ai giochi codificati (calcio, volley, basket, ecc..) e queste regole possono anche essere ridotte, cambiate, adattate all’ambiente o decise dal gruppo. Consentono di svolgere attività più creative e si adattano maggiormente al numero di persone che abbiamo davanti, alle attrezzature presenti (anzi spesso non richiedono attrezzature specifiche) alle finalità che vogliamo raggiungere.
La cosa che diverte in sè, è il confronto coi compagni, il misurarsi col tempo, il mettersi in gioco e scoprire le proprie possibilità.
Il gioco, secondo Bruno Bettelheim, è l’unica esperienza capace di rispondere e soddisfare i bisogni fondamentali del bambino.

- IL GIOCO E LO SPORT NELLA SCUOLA PRIMARIA


Nella fascia d’età della scuola primaria l’educazione ludico motoria dei bambini avviene potenziando e diversificando sia proposte e occasioni di attività ludico-motorie che pratiche pre-sportive. Le suddette, a qualsiasi età vengano praticate, ma soprattutto in questa delicata fase di crescita, perseguono il principio di considerare i bambini tutti protagonisti, nessuno escluso. Per riuscire a far questo è fondamentale tenere conto di attitudini, preferenze e capacità individuali, rispettando i naturali ritmi di crescita e promuovendo pari opportunità di partecipazione, con una particolare attenzione agli alunni diversamente abili.

I principi didattici di base dell'educazione ludico-motoria sono: Socializzazione,  Integrazione,  Ludicità, e Multidisciplinarietà.

Caratteristiche principali: I bambini sono stimolati a sviluppare in modo creativo le capacità percettive del corpo, imparano a muoversi con sicurezza nello spazio e ad utilizzare efficacemente gli attrezzi. Si avvicinano alle diverse discipline sportive sperimentandone in forma ludica le regole e apprendono il significato della collaborazione e dell'aiuto reciproco. Nei primi due anni della scuola primaria (6/8 anni) la didattica è incentrata sui temi della corporeità, del movimento e della relazione. In seguito, a partire dalla 3°, ma soprattutto in 4^ e 5 ^ primaria, l’attività  dovrebbe prevedere la sperimentazione di discipline più strutturate e codificate (Mini-volley, mini-basket, avviamento al calcio, mini-Handball, avviamento all'atletica leggera, ecc...). 

- VARIABILI DA CONSIDERARE QUANDO SI PROPONE UN GIOCO:
• RISPETTO DELLE REGOLE
• ETÀ E GENERE
• TEMPI, DURATA DEL GIOCO
• SPAZI E DIMENSIONI DEL CAMPO DI GIOCO, ANCHE IN RELAZIONE ALLA       PREVENZIONE E ALLA SICUREZZA
• EQUILIBRIO NEL PROPORRE GIOCHI CONOSCIUTI E NUOVI
• CAMBIARE SPESSO LE SQUADRE PER FAVORIRE LA SOCIALIZZAZIONE
• CONOSCERE LE PRINCIPALI FINALITÀ DEI GIOCHI E QUELLE SECONDARIE
• FLESSIBILITÀ DEI GIOCHI (PIU’ SEMPLICI O PIU’ DIFFICILI)
• TUTTI PROTAGONISTI, NESSUNO ESCLUSO
• IDEARE GIOCHI NUOVI: favorisce la creatività, il senso di appartenenza, la capacità di saper gestire situazioni impreviste, la possibilità di utilizzare gli stessi spazi in modo originale e alternativo

PERCORSO DIDATTICO N.4:  PERCEZIONE 

E EDUCAZIONE AL RITMO


RIFERIMENTI TEORICI:

Il ritmo è talmente insito nella nostra vita che alcune delle nostre funzioni biologiche hanno un ritmo! (Il battito cardiaco, il respiro, masticare, succhiare, parlare, sonno/veglia, onde cerebrali, movimento). In ogni nostro gesto c’è un prima e un dopo, con una sua durata, con un inizio ed una fine, quindi ogni movimento ha un suo tempo e il ritmo è ordine nel movimento!
Il senso ritmico non viene appreso, ma è già presente alla nascita (caratteristica solo del genere umano); a soli due giorni dalla nascita, nel neonato è attiva l’induzione del ritmo, ossia la reazione spontanea di andare a tempo. A 3/4 anni è già in grado di sincronizzare (fase della sincronizzazione senso-motoria) il movimento della mano o del piede con un ritmo che abbia una cadenza regolare.
L’educazione al ritmo si presenta nel contempo come un’educazione del movimento, un’educazione percettiva e una coordinazione del gesto e del suono.
Essere in grado di adeguare un movimento ad un ritmo conosciuto e piacevole è molto gratificante, emozionante, soprattutto se avviene in gruppo e se si arriva alla sincronizzazione (tutto il gruppo esegue gli stessi movimenti nello stesso tempo). Questo stimola il Sistema Nervoso Vegetativo (sistema immunitario e ormonale), l’area corticale premotoria e l’emisfero sinistro, “caricando” tutti i componenti del gruppo come avviene, per esempio con l’Haka Maori degli All Blacks.
 
 
Educare al ritmo significa pertanto perseguire alcuni obiettivi:

1. prendere coscienza del ritmo con cui cose e persone si muovono (più facile perchè è un ritmo esterno a noi)

2. prendere coscienza del ritmo dei nostri movimenti (ritmo interno, più difficile se non si ha una buona propriocezione).

3. mirare alla capacità di adeguare le proprie contrazioni muscolari ai ritmi esterni, sia che essi siano una musica o un pallone, o un avversario.
Ma che cos’è la propriocezione?  Sappiamo che la percezione (funzione cognitiva) si suddivide in esterocettiva e propriocettiva (vedi dispensa Marani); la capacità propriocettiva avviene attraverso l’apparato vestibolare (percezione dello stato di equilibrio) e l’apparato cinestesico (percezione del livello di tensione esistente nei muscoli, tendini e articolazioni).  
In pratica, attraverso varie esercitazioni e molta attenzione, l’individuo deve progressivamente riconoscere i segnali che il proprio corpo invia al cervello (attraverso le vie afferenti). Una volta che si riesce a “riconoscere meglio” (cioè percepire) questi messaggi, si potrà migliorare la selezione e l’elaborazione di tutte le informazioni giunte al cervello. Tutto ciò consentirà la scelta della risposta più idonea a raggiungere i risultati desiderati, controllando consapevolmente la risposta motoria inviata dal cervello all’apparato muscolare (attraverso la via efferente). La combinazione del miglioramento della capacità propriocettiva e del controllo della risposta motoria, permette di raggiungere un maggiore livello di coordinazione.
Oltre al miglioramento della capacità percettiva, attraverso un’attività motoria su base musicale, si raggiunge la capacità di contrarre e decontrarre i diversi gruppi muscolari rispettando i giusti intervalli degli stimoli sensoriali ottenendo così la sincronizzazione tra i gruppi agonisti ed antagonisti. In pratica, tutta l’attività motoria guidata dalla musica consente di migliorare la propria coordinazione dinamica generale.

PERCORSO DIDATTICO N.5:  

IL RITMO E LA COORDINAZIONE 


RIFERIMENTI TEORICI:


CAPACITÀ DI RITMO

In ogni forma di movimento possiamo riconoscere un ritmo esecutivo caratterizzato da durata, pause, velocità, intensità, accentuazione  e frequenza. 

Il ritmo di movimento è “l’ordine cronologico specifico, temporale, caratteristico di un  atto motorio” (Kurt Meinel, 1977), è una “articolazione regolata dei movimenti nel loro svolgimento temporale” Alla base del ritmo c’è quindi la dinamica muscolare, cioè il continuo e fluido alternarsi di contrazioni e decontrazioni, tensioni e rilassamenti. Nel ritmo, è evidente,  si manifesta anche la coordinazione motoria. I ritmi di movimento sono condizionati perciò, in modo determinante, dalla struttura dell’apparato motorio umano. La capacità ritmica è fondamentale negli sport ciclici di lunga durata, come ad esempio il ciclismo od il canottaggio, poiché il mantenimento di un regolare ritmo di movimento rende più efficace ed economico, dal punto di vista energetico, il lavoro muscolare. Ci si può così adattare ad un ritmo proveniente dall’esterno (come quello scandito da una musica) o riprodurne uno personale, interiorizzato ed autonomo, come avviene ad esempio nella corsa o nel nuoto.
Il ritmo ha certamente anche un’oggettiva funzione aggregante e coinvolgente, come ad esempio quando riesce a trascinare un gruppo di persone a  muoversi insieme piacevolmente, contagiati dalla stessa musica.

La coordinazione

Numerosi autori considerano la capacità di ritmo come una capacità coordinativa speciale. Ma che cos’è la coordinazione e come si rapporta con il ritmo?
La coordinazione è quella funzione del cervello che ordina e collega tutti gli elementi che servono a progettare e realizzare quell’azione motoria che ci serve per raggiungere il nostro obiettivo (per esempio fare canestro o saltare un ostacolo, ecc...)
La capacità di ritmo consiste essenzialmente nell’eseguire un movimento, un gesto, rispettando dei precisi intervalli di tempo e di durata;
Coordinazione ritmica significa percepire il tempo del proprio movimento ed adattarlo ad un ritmo esterno mantenendone il controllo anche rispetto a cambiamenti del ritmo stesso; questo consente di realizzare tutti movimenti in manie

PERCORSO DIDATTICO N.6: I GIOCHI SPORTIVI DI SQUADRA E INDIVIDUALI




 

RIFERIMENTI TEORICI:  

“Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla.” (Pierre de Coubertin)

DIFFERENZE TRA ATTIVITA’ SPORTIVE DI SQUADRA E INDIVIDUALI

Vi è una sostanziale differenza tra gli sport di squadra e quelli individuali: negli sport di squadra l’atleta fa parte di un team e la responsabilità del risultato è condivisa mentre negli sport individuali la responsabilità del risultato è pienamente a carico dello stesso atleta anche se i risultati individuali potrebbero convergere in una valutazione collettiva di squadra (per es.atletica, nuoto, scherma). Inoltre sovente negli sport di squadra gli atleti devono ridefinire continuamente gli schemi di gioco, in base all’azione dei compagni, alle loro prestazioni, agli avversari, e questo richiede una mentalità molto aperta, elastica e disponibile. Mentre l’individualista è spesso disciplinato da schemi rigidamente predisposti quindi necessita di una mentalità concentrata su stesso, sul riconoscimento delle proprie prestazioni, sul piacere di sfidare i propri limiti.
A lungo andare gli effetti delle pratiche sportive saranno diversi: collaborazione, senso di appartenenza, spirito di gruppo e competizione saranno accresciuti negli atleti che praticano sport di squadra; viceversa, senso di responsabilità, disciplina, sfida dei propri limiti e di se stessi, saranno tipici degli atleti individualisti.
 
I GIOCHI PRE- SPORTIVI

Quando si deve proporre uno sport di squadra bisogna valutare bene, in base all’età dell’utenza e ai prerequisiti del gruppo, che tipo di gradualità applicare e quali modalità di insegnamento utilizzare. Quando i bambini sono piccoli o l’utenza è inesperta, si partirà con il proporre i cosiddetti giochi pre-sportivi, ovvero i giochi sportivi convenzionali molto semplificati, con le sole regole essenziali e che prevedono l'inserimento graduale e progressivo dei gesti tecnici specifici di quello sport, dai più facili ai più difficili. Il gioco sport dello scoutball (gioco propedeutico al rugby) ne è l'esempio più classico, ma altri come il saracino di gomma, il gioco dei 5 passaggi, tra due fuochi, per citarne solo alcuni, ne rappresentano l'esempio più concreto. Solo successivamente i giochi pre-sportivi potranno evolvere verso le prime vere e proprie forme sportive, ovvero i cosiddetti mini-volley, mini-basket, min-handball, ecc...
Il risultato principale che si ottiene ponendo la giusta attenzione alla corretta progressione di insegnamento dello sport é in primis la salvaguardia dell'aspetto ludico- ri-creativo che il bambino prova nel praticare queste forme via via sempre più evolute dal gioco al gioco-sport, quindi al gioco pre-sportivo e infine al mini sport. Rispettando questa progressione i bambini non perdono mai il senso della ludicitâ dello sport perché l'insegnante non sarà fiscale sulla correttezza del gesto, così che tutti possono giocare e divertirsi anche se ancora non hanno imparato il gesto tecnico. Questo è ancora più importante quando nel gruppo c’è una persona disabile o in difficoltà, infatti l'aspetto dell’inclusione della persona in difficoltà è da tenere sempre presente; è molto importante per l’insegnante conoscere eventuali aspetti clinici o limitazioni motorie dei propri studenti, per diversi motivi:
• per insistere sull’aspetto della collaborazione, del mettersi nei panni dell’altro, del non dare giudizi negativi alle persone che non raggiungono immediatamente l’apprendimento tecnico;
• per fare proposte operative adatte a tutti;
• per allungare i tempi di gioco in modo che ci sia più tempo per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Il gioco motiva moltissimo e diverte, quindi è più facile lavorare per tempi lunghi e far percepire che sono la tenacia e la costanza a far raggiungere buoni risultati.

FINALITA’ E CARATTERISTICHE DEGLI SPORT DI SQUADRA

Un altro aspetto importante è la finalità che si vuole raggiungere con l’insegnamento di uno sport di squadra. E’ banale  pensare che si insegna a giocare a pallavolo solo perchè piace ai ragazzi. C’è sicuramente un fattore culturale, familiare, un’influenza dei media, che inducono i ragazzi a chiedere di giocare sempre a calcio o pallavolo, ma l'insegnante deve sapere che attraverso lo stesso gioco pre-sportivo e/o si possono raggiungere diversi obiettivi, per esempio: migliorare la percezione spazio/temporale, migliorare la collaborazione tra compagni, migliorare la tecnica degli spostamenti, ecc...
Le dinamiche sono molto differenti in un gioco di squadra in cui esiste o no il contatto tra le squadre (per esempio: basket/volley). Quindi se abbiamo un gruppo che ancora non sa controllare la propria vivacità non proporremo il basket o il calcio ma giochi in cui non ci sia il contatto tra le due squadre.
Il ruolo in cui si gioca aggiunge una difficoltà, una responsabilità e non tutti i ragazzi potrebbero essere adatti a rivestirlo in quella particolare fascia d’età in cui si trovano. Per esempio: a 8 anni non tutti sono psicologicamente pronti per tirare un rigore, per qualcuno potrebbe essere fonte di stress. Oppure a 14 anni ci possono essere ragazzi che non se la sentono di fare il “libero” nella pallavolo, di avere la responsabilità di ricevere palloni forti, ma soprattutto dove sbagliare la ricezione significa dare un  punto sicuro all’avversario, quindi non vanno mai forzati.
Anche l’atteggiamento dei giocatori è diverso nelle azioni in cui la propria squadra è in difesa o in attacco e lo stress a cui sono sottoposti durante una partita è maggiore quando i momenti in cui si è in attacco o in difesa cambiano repentinamente come ad esempio nel basket o nel calcio.
L’insegnamento delle strategie di gioco aprirebbe una discussione infinita se pensiamo a tutte le simulazioni che vediamo in televisione. Da un punto di vista educativo però non ci sono dubbi: ai ragazzi (di qualsiasi età) va insegnata la lealtà, la correttezza, l’accettazione e la dichiarazione del proprio errore. Essere consapevoli che si sbaglia, come tutti, e che questo non vale un giudizio negativo sulla propria persona, è uno dei più grandi insegnamenti che lo sport può dare. Dobbiamo sempre improntare la nostra azione educativa secondo le regole del fair-play e anche noi, come insegnanti, dobbiamo dimostrare che riconosciamo di aver sbagliato e che questo nulla toglie alla nostra preparazione, al nostro ruolo, alla nostra professionalità.
Infine, come insegnanti dobbiamo essere molto attenti a non dare giudizi ai ragazzi che sbagliano ma cercare sempre di gratificare le azioni positive, di valorizzare i loro progressi, di stimolare la crescita della loro autostima.
Dobbiamo ricordare che non bisogna mai dire ad un bambino che non è capace di fare una cosa perchè in questo modo è possibile che alla fine diventi realmente incapace di farla. A volte le aspettative dell’insegnante inducono, anche inconsciamente, delle risposte nell’allievo che vanno in quella direzione (la profezia che si avvera) pertanto dobbiamo sempre pensare in positivo ed agire spronando tutti, ma soprattutto i più deboli, ad insistere e perseverare nell’attività, perchè alla fine arriveranno anche loro al risultato sperato.

PERCORSO DIDATTICO N.7: GIOCHI E ATTIVITÀ PER L'INFANZIA  




 
RIFERIMENTI TEORICI:
 
Il GIOCO E IL GIOCO-DRAMMA

Fino alle soglie del 900, il gioco veniva considerato una attività contrapposta alle così dette attività“ serie”. Solo nel 1898 lo studioso  Karl Groos (1898)  attribuì al gioco una funzione  importante nello sviluppo della persona, considerandolo una specie di palestra per i comportamenti futuri. Il bambino, fin dal 10^ mese di vita,  diviene capace  di “fare finta” e con questa  abilità entra nella sua vita la possibilità di rielaborare gli elementi della propria realtà, costruendo una realtà parallela all’interno della quale il mondo viene ricreato secondo i propri bisogni e desideri. Questa elaborazione del mondo va di pari passo con la formazione del proprio senso di identità.
Sue Jenning individuò tre fasi del gioco infantile le quali si succedono integrandosi:
1 - La fisicità del gioco, nella prima fase, è predominante
2 - nella seconda il bambino utilizza oggetti che acquistano un significato simbolico
3 - nella terza il gioco diviene teatro.
In quest’ultima fase, dove il gioco prende il nome di  gioco drammatico è fondamentale il “come se”  che ha un significato più ampio del semplice far finta e che è presente in altre attività della vita adulta come il rito, la festa ed il teatro.  Queste attività, come il gioco,  si svolgono nell’ambito  della “realtà drammatica”, una realtà speciale e protetta, dove il mondo reale e quello immaginativo si intersecano costituendo il primo la sua forma ed il secondo il suo contenuto.  

Il gioco drammatico infantile produce una serie di effetti positivi in quanto permette di:
• esprimere e risolvere conflitti interni,
• assimilare la realtà,
• raggiungere un senso di padronanza e di controllo,
• liberare emozioni,
• imparare a controllare impulsi potenzialmente distruttivi,
• esplorare problemi e scoprire soluzioni,
• sperimentare ruoli nuovi e sviluppare un senso di identità.
 
Riflessioni "adulte" intorno al gioco drammatico: risorse, difficoltà e ricchezze.

* Un'altra prospettiva: L'utilizzo del gioco-dramma ci chiede di entrare in un'altra prospettiva. Non si tratta di fingere di avere un 'età che non è più nostra, bensì di ritrovare nella propria età quell'essere bambini che ti permette di vedere le cose "diversamente", da un altro punto di vista. E ogni diversità è una ricchezza. Ecco quello che i bambini ci permettono di ritrovare: un'altra prospettiva. Perché ciò avvenga é necessario dialogare, comunicare, entrare in empatia con loro, saper giocare con loro nella diversità dei propri ruoli, ma anche nella reciprocità degli scambi e delle ricchezze che entrano in campo. Allora la drammatizzazione è una grande possibilità, una grande opportunità, una grande occasione per conoscersi giocando con loro.

* É facile drammatizzare con i bambini? : Bisogna innanzitutto lasciare a casa giudizi severi sulle proprie capacità espressive, recitative o interpretative. Bisogna capire che è bello giocarsi nella relazione per quello che si è, con la propria capacità di lasciarsi andare in una storia fantastica, dentro una invenzione narrativa, buttandosi in una imitazione divertente e divertita. Non dobbiamo dimenticare che questi sono i modi privilegiati che il bambino ha per entrare in contatto con la realtà che lo circonda. L'immaginazione e la fantasia sono per il bambino un mezzo privilegiato per mediare il suo rapporto con la realtà. In questi mondi più o meno fantastici noi dobbiamo inserirci pur mantenendo presente il nostro esserci come educatori e insegnanti.

* Saper ritornare come bambini :
Per l'educatore diventa importante riscoprire di aver avuto, e avere, desideri forti come i loro, aver desiderato di essere qualcun altro e di averlo giocato in mille e più svariate imitazioni; e ancora riscoprire che desideri e sogni che avevamo da bambini, ancor oggi sono presenti, magari solo in parte e/o con modi e maniere diverse, ma pur sempre ancora vivi. Questo ci può aiutare a capire la personalità in divenire dei bambini. Davanti alla eventuale timidezza e alla paura del bambino a mostrarsi, a esibire le proprie emozioni e sentimenti, dobbiamo cercare di portare a lui la capacità di sentirsi a proprio agio per quello che si é, anche e soprattutto accettando i propri limiti, anche quelli espressivi.

* Mettersi in gioco: È necessario mettersi in gioco per quello che si è: chi è bravo e chi non lo è, chi ha grandi capacità espressive e chi non le ha. Situazioni di abilità e capacità opposte sono frequentemente presenti nello stesso gruppo. Si tratta di prendere consapevolezza profonda che quella del gioco-dramma è un'attività fondamentale del bambino. Un'attività che egli ricerca spontaneamente, che persegue volentieri nel suo tempo, che percorre nei suoi tratti con grande coinvolgimento emotivo, affettivo e sempre con grande trasporto motivazionale. É veramente interessato alle storie che racconta, appassionato dalla fantasia, sedotto dal racconto e incantato dalle immagini.

* Non ce lo diranno a parole, ce lo diranno giocando:
L'attività del gioco dramma è un'attività privilegiata, attraverso la quale i bambini si raccontano. Attraverso le storie che improvvisano, ripetono, riproducono, imitano, inventano, rielaborano, i bambini  raccontano l'universo dei loro sentimenti e pensieri che attraversano la loro mente e il loro cuore, inteso come sfera affettiva. Allora racconteranno gioie e dolori, angosce e paure, felicità e tristezza, preoccupazioni e spensieratezze, bisogni, desideri e tanto altro ancora. Racconteranno delle persone e degli affetti che li circondano, della loro presenza e anche della loro eventuale assenza e/o mancanza. Ci accorgeremo, soprattutto giocando con loro, anche di quei bambini che faticano ad esprimere questo loro mondo esteriore ed interiore. Ce ne accorgeremo chiaramente solo in quel momento. Non c'è lo diranno infatti a parole, ce lo diranno giocando.
 
 
- L'AMBIENTAZIONE FANTASTICA: SIGNIFICATO, FINALITÀ E  UTILIZZO
(di Maurizio Cassanmagnago)

 
SIGNIFICATO DELL'AMBIENTAZIONE FANTASTICA
Un buon educatore/animatore dovrebbe essere creativo. Un modo per coltivare la creatività è quello di fare spazio alla fantasia. Si può imparare dai bambini osservando come si comportano nel gioco spontaneo, quando cioè hanno il tempo e la possibilità di organizzarsi in maniera autonoma. In questa situazione i bambini hanno la possibilità di entrare in una dimensione libera da regole e schemi che non siano quelli da loro pensati (che comunque hanno un carattere estemporaneo), la fantasia e la creazione fantastica diventano una necessità. Rivestire e vivere un ruolo immaginario, consente al bambino di trasferirsi, con i propri dubbi, paure, desideri, aspirazioni, in una dimensione accessibile, mediata, piacevole e alla sua portata, all'interno della quale poter consumare una serie di esperienze altrimenti per lui non disponibili. Il bambino ha bisogno di questo trasferimento, di credervi e di identificarvisi, per poter entrare nel regno della libertà.  Ora, se il bambino ha avuto una vita infantile ragionevolmente appagante, la smitizzazione del gioco ed il passaggio all'accettazione (spesso deludente) della realtà, è un delicatissimo processo evolutivo che avviene spontaneamente, nel momento e con le modalità proprie a ciascun individuo, alla propria personalità, al proprio mondo e contesto educativo, ed esclusivamente quando è pronto a questo passaggio e ne avverte la necessità.  Vista la necessità di vivere un ruolo fantastico per crescere e per conoscere la realtà, il ruolo dell'animatore/educatore diventa quello di favorire questo passaggio, rispettando i tempi e le caratteristiche del singolo bambino.
Come fare? Imparando ad usare l'ambientazione fantastica, naturalmente. Nel fare questo ci sono due suggerimenti apparentemente contraddittori. Da una parte la ricerca del fantastico va incentivata, soprattutto nei casi in cui i bambini si mostrano troppo "adulti" e realistici. Dall'altra si può favorire il passaggio alla realtà, cercando di presentarla in maniera non meno interessante della fantasia, caricandola di curiosità, di entusiasmo e, perché no, anche di mistero. Creare delle aspettative può essere rischioso, perché queste possono andare deluse. Non farlo significa non dare nessuna possibilità al bambino di trovare nella realtà alcuni degli aspetti positivi che ha conosciuto nel mondo della fantasia.
 
USO DELL'AMBIENTAZIONE FANTASTICA
Il "gioco in ambientazione fantastica", nella sua forma più elementare, è la prima e più spontanea forma di gioco del bambino: egli crea un ambiente immaginario e si ridefinisce in base ad un personaggio inventato. Nel momento in cui il gioco da singolo diventa di gruppo l'ambientazione fantastica diventa strumento per socializzare, per conoscere e conoscersi, per definirsi. Questo è senz'altro uno dei modi di giocare che i bambini e, talvolta anche gli adulti, amano di più.  Quando è l'animatore a proporre l'ambientazione fantastica la situazione cambia: il bambino non è più solo, non ha la possibilità di trasformare il mondo che gli sta attorno a suo piacimento, la presenza dell'adulto rischia di essere vista come un disturbo, un intruso. E' necessario giustificare questa presenza, trovare un linguaggio che permetta la comunicazione con il bambino, offrire stimoli che trasformino la figura dell'adulto da potenziale invasore a quella di possibile compagno di giochi. Per far questo é utile conoscere le caratteristiche e le varie modalità con cui si può manifestare il gioco in ambientazione fantastica.

1. il lancio  Cos'è il lancio? si tratta di un breve sketch teatrale, in cui uno o più animatori ambientano il gioco, creando una situazione di illusione costruita su tre componenti: l'ambientazione fantastica ovvero il soggetto dell'avventura, il travestimento degli animatori e la rappresentazione, in altre parole la messa in scena, il dialogo fra i personaggi presenti nel lancio. Gli animatori/educatori, senza bisogno di grosse spiegazioni, ottengono in questo modo una comprensione chiara e diretta, da parte dei giocatori, del ruolo e delle regole del gioco e il loro immediato coinvolgimento. Con questo stratagemma si giustifica la presenza dell'adulto nel mondo del fantastico proprio del bambino e si ottiene la sua collaborazione: è una presenza non mediata, grazie al fatto che l’insegnante impiega un codice fantastico che il bambino comprende. Un lancio ben architettato permette di ottenere alcuni risultati rilevanti: il bambino capisce quello che sta succedendo senza che nessuno pretenda qualcosa da lui; se l'animatore è bravo, il bambino si lascia coinvolgere emotivamente dall'avventura che questo gli propone; a questo punto, il bambino risponde positivamente alle richieste d'aiuto dell'animatore, dando inizio in maniera naturale al gioco e diventandone, da passivo che era in fase iniziale, il vero protagonista.
Il lancio può essere usato come inizio di molteplici attività: nel caso di un grande gioco si tratta di un mezzo per introdurre una determinata ambientazione; se utilizzato prima di un laboratorio di manualità o di espressione, è un modo per valorizzare il lavoro che verrà dopo, per giustificarne lo scopo, per "caricare" i ragazzi. In tutti questi casi può essere molto importante l'uso che si fa del travestimento.

2 Il travestimento: L'animatore che deve impersonare il temibile pirata Capitan Kid piuttosto che il folletto Tesorius non ha l'obbligo di utilizzare un costume che rispetti l'origine storica e sociale dei personaggi rappresentati. Spesso diventa più importante l'uso di alcuni aggeggi strani e apparentemente assurdi che permettono di catturare l'attenzione del bambino, creandogli interesse e aspettative. In ogni caso l'impegno messo dall'animatore/attore/educatore, la sua capacità di calarsi nel personaggio, di credere a quello che sta vivendo conta più della bellezza del travestimento utilizzato.

3 la durata Un'attività in ambientazione fantastica può durare 2 ore, ad esempio un grande gioco, o un'intera settimana. Il centro estivo per esempio è un'occasione che si presta moltissimo per le attività fortemente animate e può essere totalmente costruita sull'uso dell'ambientazione fantastica. Per fare questo, il gioco in ambientazione non può essere relegato al grande gioco o a un lancio come pretesto per introdurre una serie di attività slegate fra loro. Si tratta, invece, di fare dell'ambientazione ciò che lega e giustifica i diversi momenti della giornata e porta ad un continuo coinvolgimento dei bambini. Il cambiamento è radicale: si possono proporre giochi, laboratori, passeggiate e addirittura il momento del pranzo in funzione dell'ambientazione prescelta. Compito difficile? Probabilmente si, ma non impossibile. E se riesce può dare grosse soddisfazioni. Attenzione: dare sistematicamente priorità all'ambientazione rispetto alle singole attività ludiche o didattiche, significa, in alcuni casi, sacrificarle in parte. Sta all'animatore capire quando si sta esagerando. Giocare con l'ambientazione fantastica serve nella misura in cui si resta nel gioco e non si costruisce un mondo improponibile. Se si utilizza frequentemente lo strumento dell'ambientazione fantastica, è importante che questa abbia un ruolo di veicolo per conoscere la realtà e non per allontanarsene.
 
  



ESERCIZI PER ALLENARE LA PROPRIOCETTIVITÀ DELLE MANI




Ciao amici, non è semplice trovare degli spunti interessanti per arricchire e migliorare il bagaglio di conoscenze di noi allenatori perché il web è fonte di ricerche e video con esercizi con diversi spunti per l’allenamento. La percezione e la sensibilizzazione penso sia un fattore importante, nello sviluppo tecnico non solo dei palleggiatori ma di tutti gli atleti, soprattutto in età evolutiva. A mio avviso dedicare del tempo inserendo questi esercizi all’interno di un programma di allenamento saranno utili per migliorare sia la forza sia la propriocettività delle mani. In uno sport come la pallavolo, siamo consapevoli che le mani e le dita sono molto sollecitate. Un programma di qualche minuto con  questi esercizi aiuta a completare il vostro allenamento. Buona visione e Buon lavoro

Stefano Lorusso